Formare alla carità

Formare alla carità.

SanPaoloGuarisce

 

 

 

Dobbiamo fare quello che faceva GesùGesù incontrava i malati, le persone sole, tristi, povere,  per consolarle per sollevarle, per sanarle. Senza l’incontro con il povero e  il malato, la fede non è fede.   E’  regola, è abitudine, è apparenza, è compromesso. Senza l’incontro con il povero e il malato, il Signore non passa. 

Se  chi soffre  si sente accolto in modo gratuito, sincero, senza averlo chiesto, sente che veramente  lo sta cercando Dio. Perché è Dio che parte per primo. È Dio che ama per primo. E noi lo dobbiamo testimoniare così. Non si deve aspettare che il malato ci chiama.  Lui non lo fa per non sentirsi dire  di no.  Per questo dobbiamo andare noi a cercarlo, dobbiamo decidere noi di andare a trovarlo.

 

Andare a due a due, come gli apostoli, in segno di comunità, per aiutarsi. Due adulti o due giovani che possono prendere  in adozione un malato, che seguono, che custodiscono, come un fratello. Dobbiamo fargli sentire che  lui è nel nostro pensiero, è nel nostro cuore. Deve sperimentare che il suo dolore è prezioso, è la nostra ricchezza, è il nostro tesoro,  è  Dio tra di noi.

Chi sta per morire    in particolare, deve sentire, deve vedere, che la comunità è presente. Non può morire senza l’abbraccio di qualcuno. Non può morire senza qualcuno che gli porta Dio, che gli parla di Dio, che lo prepara all’incontro con Dio. Non si possono far morire le persone senza sacramenti, senza un sacerdote,  senza la confessione e l’estrema unzione, che aiuti, sostenga nel dolore, nella angoscia per la malattia e per la morte.  

 

Bisogna impostare una rete, un sistema che accolga e dia priorità a questo. Bisogna pensarci prima.

Siamo bravissimi a organizzare funerali, siamo presenti tutti ai funerali. Dopo la morte. Ma conta esserci prima. Prima la persona è viva, prima possiamo fare ancora qualcosa. Possiamo essere con lei,  Chiesa, uniti, per  portarla  in Paradiso.